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Coen esilaranti, Valentino regale e un Fu Mattia Pascal fiammingo

di Boris Sollazzo

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28 agosto 2008

Venezia comincia a fare sul serio: lo fa con gli ultimi pluriOscar- quei fratelli Coen che con No country for old men sono diventati grandi maestri per tutti- fanno ridere, con il loro Burn after reading, spy-story demenziale contro la Cia in cui giganteggia un imprevedibile Brad Pitt. Leggendario il party post-inaugurazione, ma nulla in confronto a quello annunciato stasera per Valentino: The last emperor, con lo stilista presente. Iniziano, come sempre alla grande, le Giornate degli autori, con una Pirandello belga.

Burn after reading- fuori concorso
Non c'è da stupirsi che i due fratelli terribili del cinema americano, Joel ed Ethan Coen, abbiano ideato e scritto questo film contemporaneamente a No country for old men, film "pesante" che li ha impegnati nel loro lato più noir e cattivo. Un lato inusuale, anche se il loro capolavoro insuperato, Fargo, ne era intriso profondamente. Quel viaggio deve averli affaticati, nonostante i consensi di critica e pubblico e così qui si scatenano in una demenzialità, seppur politica, che spesso prende a prestito gag, gestualità e trovate comiche persino dal film muto e dalle parodie dei decenni passati. Una pellicola fatta di gioco e divertimento, soprattutto per i suoi stessi autori che come spesso accade si mettono anche al montaggio, con lo pseudonimo di Roderick Jaynes. Le (auto)citazioni sono tante: dai classici del genere ai propri temi ricorrenti. Utili e inutili idioti si scatenano nella più classica e goffa schermaglia da Guerra Fredda. George Clooney è un nevrotico funzionario del Tesoro con tanto di arma alla cintura, Brad Pitt un istruttore di fitness tanto stupido quanto volenteroso. Accanto a loro una dolente e determinata Frances Mc Dormand, mattatrice che lega a sé tutte le storie convergenti e parallele con la sua ossessione per la chirurgia estetica. L'arcigna e aristocratica Tilda Swinton si dimostra ancora una volta perfetta dark lady. L'uso della macchina da presa e le scelte registiche e narrative sono raffinate e irriverenti, nella linea di una cinematografia che qui forse non troverà il suo picco, ma un gustoso momento di svago.

Valentino: The last emperor- Orizzonti Eventi
In una Venezia mutilata dalla consueta ondata di divi a causa di motivazioni contingenti e non- scelte artistiche e sciopero sceneggiatori Usa- il vero "divino" è lui, Valentino Garavani. Il Lido è in fibrillazione per l'arrivo del grande "couturier", o meglio dell'ultimo grande artista della moda che ha dato il suo nome a un'epoca, a uno stile, a una casa di moda e persino a un colore. Matt Tyrnauer, corrispondente di Vanity Fair, produce e dirige questo documentario biopic che regala momenti che vanno ben oltre la facile agiografia. Il ritratto del giornalista, a cavallo dei grandi cambiamenti di assetto societario (Marzotto prima, Permira poi) e del ritiro continuamente paventato, ha la capacità, con affetto irriverente e occhio acuto, di prendere Valentino nella storia e lanciarlo nella leggenda, umanizzandolo. Fragile e consapevole, insicuro e megalomane, la vita del più grande inventore di mode e abiti della storia viene vista, anzi spiata negli ultimi spicchi di attività. Un film Valentino-centrico che ha il pregio nella geniale contraddizione di mostrarci i comprimari sempre nell'ombra, regalandogli la nobiltà che meritano. Dalle anziane sarte sempre in fibrillazione all'inseparabile Giancarlo Giammetti, suo partner "totale" da quasi 50 anni, l'uomo che gli ha permesso di essere un genio assoluto, sollevandolo di tutti gli aspetti pratici, finanziari, organizzativi. L'amore, la devozione, la discrezione di quest'uomo sono i veri protagonisti, è una sorta di mix tra Caine, Freeman e Oldman per il suo Batman-Valentino.

Nowhere man- Giornate degli autori
Non c'è due senza tre e il delegato generale delle Giornate degli Autori Fabio Ferzetti sembra aver obbedito al più classico dei detti popolari. Alla sua terza edizione inizia come ha finito le precedenti, alla grande. Con la fiamminga Patrice Toye, infatti, ci regala un piccolo gioiello, un film che utilizzando stereotipi narrativi come la pirandelliana fuga da se stessi alla ricerca di una nuova vita, sa abbattere convenzioni sociali in un gioco di ruoli e di specchi di grande efficacia. La storia di Tomas (Frank Vercruyssen) è quella di un quarantenne disperato, insoddisfatto della sua vita "normale", di una moglie con troppo carattere e intelligenza, di un lavoro noioso. Il solito uomo infantile, alla ricerca di facili emozioni, se non fosse che usa un incendio per fingersi morto e andare su un'isola semideserta e bellissima a iniziare la sua avventura di maschio risorto e felice. Scoprirà che la vita è carogna a tutte le latitudini e il suo ritorno, con la coda fra le gambe, riserva belle sorprese e interessanti trovate. Una storia semplice che fa da acuto specchio deformante, ma non troppo, di una società meschina, mediocre e molto ipocrita. La direzione degli attori è impeccabile (da sottolineare la performance della dura e sensuale Sara de Roo), la scelta delle immagini e dei dialoghi originale e sobri. Ed è solo l'inizio…

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